Dolores Bevilacqua (M5S): “Espresso voto contrario all’approvazione Decreto Legge Rave”
La Senatrice del Movimento 5 Stelle, Dolores Bevilacqua, ha comunicato con un post sul proprio account Facebook che il partito pentastellato ha espresso voto contrario all’approvazione del Decreto Legge Rave.
“Il Movimento 5 Stelle ha espresso voto contrario all’approvazione decreto legge Rave che regola anche norme su reati ostativi che limiterebbero la lotta alla mafia, perché è una legge che per come è stata strutturata nella sua stesura finale, è destinata a far male al nostro Paese sotto vari profili.
Sposo in pieno le motivazioni date dal Senatore Roberto Scarpinato di cui vi riporto l’intervento”.
“È una legge che disincentiva fortemente la collaborazione con la giustizia dei condannati per reati ostativi, disabilitando così uno degli strumenti rivelatisi più efficaci nel contrasto alle mafie e alle altre forme di criminalità organizzata.
Sono stati infatti introdotti una serie di meccanismi normativi – prosegue il Senatore Scarpinato – che sortiscono l’effetto di riservare ai condannati che collaborano con la giustizia un trattamento in taluni casi peggiore, ed in altri analogo, a quello previsto per condannati che decidono di non collaborare, facendo così venir meno in modo significativo la motivazione a collaborare.
Per limitarmi a pochi esempi, basti considerare che ai condannati che collaborano con la giustizia è imposto dall’art. 12 del Decreto Legge n. 8 del 1991, l’obbligo di specificare dettagliatamente tutto il proprio patrimonio occulto che viene immediatamente sequestrato e poi confiscato.
In caso di dichiarazioni mendaci o omissive sulle componenti di tale patrimonio, la normativa sui collaboratori prevede la revoca del programma di protezione, dei benefici penitenziari concessi, e l’attivazione di una procedura di revisione per la revoca degli sconti di pena ottenuti in sede di condanna per la collaborazione prestata.
Il 23 novembre 2022 il Procuratore Nazionale Antimafia nel corso della sua audizione dinanzi alla Commissione Giustizia del Senato ha evidenziato la necessità che analogo obbligo di dichiarare il patrimonio occulto venisse imposto anche ai condannati che decidono di non collaborare, quando essi richiedono la concessione dei benefici penitenziari, e ciò al fine di evitare di riservare a non collaboranti un trattamento più favorevole rispetto ai collaboratori.
Il gruppo dei 5 Stelle ha presentato uno specifico emendamento in tal senso.
Ebbene questa maggioranza sia in Commissione Giustizia, sia oggi in aula ha respinto l’emendamento, creando in tal modo, con lucida e consapevole scelta politica, un singolare doppio binario: obblighi inflessibili e severe sanzioni per i condannati che decidono di collaborare, indulgenza di stato per i patrimoni occulti dei condannati che decidono di non collaborare, autorizzati a serbare il silenzio sulle ricchezze accumulate e sottratte alla confisca grazie a sofisticate tecniche di riciclaggio.
Non basta. Vi fornisco un altro esempio di trattamento deteriore riservato ai collaboratori di giustizia rispetto ai non collaboranti.
L’art. 16 nonies del Decreto legge n 8 del 1991 prevede che per la concessione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia non è sufficiente la prova dell’ insussistenza di collegamenti con la criminalita’ organizzata o eversiva, e non basta neppure la revisione critica della condotta criminosa. Occorre altresì la prova dell’avvenuto ravvedimento.
Proprio per la carenza del requisito dell’avvenuto ravvedimento, la magistratura di sorveglianza ha rigettato domande di ammissione ai benefici penitenziari avanzate da importanti collaboratori di giustizia.
Da ultimo con sentenza del 7 ottobre 2019 la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del diniego della concessione della detenzione domiciliare al noto collaboratore Giovanni Brusca, perché pur essendo stata accertata la revisione critica della sua condotta criminosa, non si è tuttavia ritenuta raggiunta la piena prova dell‘avvenuto ravvedimento che, come scrive la Cassazione, è un concetto giuridico più pregnante della revisione critica perché indica un mutamento profondo e sensibile della personalità del soggetto, un vero e proprio pentimento civile.
Ciò premesso, il testo di legge che vi accingete ad approvare prevede che per la concessione dei benefici penitenziari ai condannati che si rifiutano di collaborare è sufficiente la revisione critica della condotta criminosa e non è necessario il requisito dell’avvenuto ravvedimento.
E’ evidente la disparità di trattamento che si viene così a determinare a tutto vantaggio dei condannati non collaboranti.
Abbiamo così proposto un emendamento per eliminare tale ingiustificata disparità, prevedendo che il requisito dell’avvenuto ravvedimento sia richiesto anche per la concessione dei benefici penitenziari ai non collaboranti.
Anche questo emendamento è stato respinto, segnando un altro significativo punto a favore della non collaborazione.
Non basta. E’ stato respinto il nostro emendamento che prevedeva l’obbligo per i condannati non collaboranti di dichiarare espressamente le ragioni della mancata collaborazione, in modo da fornire al magistrato di sorveglianza un indispensabile indice diagnostico per valutare la compatibilità o meno di tale ragioni con il percorso di ravvedimento.
E’ evidente infatti – per fornire solo un esempio tra i tanti – che la ragione della mancata collaborazione perché non si vuole essere considerati degli “ infami” è sintomatica della mancata emancipazione dal codice culturale dell’omertà, elemento strutturale della coesione interna del crimine organizzato.
Questa maggioranza ha deciso di rimettere alla facoltà, alla discrezionalità del condannato non collaborante di dichiarare o meno le ragioni della mancata collaborazione, un ulteriore omaggio alla cultura dell’omertà e del silenzio, e ciò ha fatto arrivando al punto di disattendere l’espressa sollecitazione della Corte Costituzionale che nella motivazione della ordinanza n. 97 del 15 aprile 2021 aveva invitato il legislatore a prevedere nella riforma legislativa – cito testualmente – “la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione.. ad integrazione della valutazione del .. sicuro ravvedimento”.
Non basta ancora. Grazie a questa legge i condannati che collaborano e quelli che non collaborano potranno accedere ai benefici penitenziari dei permessi premi e del lavoro all’esterno pressoché con la stessa tempistica. Più o meno dopo sette anni dall’inizio della custodia cautelare per chi collabora e dopo otto anni e sei mesi per chi non collabora.
Se si considerano tutti questi fattori ed altri che per ragioni di tempo non è possibile menzionare, si comprende come e perché questa legge sia destinata a disincentivare la collaborazione con la giustizia e ad incentivare e normalizzare il codice dell’omertà.
Ci si chiede infatti perché mai un mafioso condannato dovrebbe in futuro scegliere di collaborare, esponendosi al rischio costante di subire gravi ritorsioni per se e la propria famiglia, subendo nuove condanne a seguito della confessione di reati non ancora accertati, e rinunciando per di più a tenere per se il patrimonio illecito occulto accumulato, quando non collaborando e limitandosi a “deporre le armi”, a recidere cioè ogni rapporto con l’associazione criminale di appartenenza, può accedere ugualmente ai benefici penitenziari, accollandosi solo il costo di ottenere tali benefici con qualche anno di carcerazione in più.
Una legge che rende più pagante la fedeltà al codice dell’omertà rispetto alla collaborazione con lo Stato, segna un grave regressione sia sotto il profilo dell’efficacia del contrasto al crimine organizzato che sul piano culturale, e dunque fa male al nostro paese.
Un male che non si proietta solo sul futuro, ma retroagisce perniciosamente anche sul passato e sul presente.
Disincentivando future collaborazioni di condannati all’ergastolo, questa legge sortisce infatti anche l’effetto di sopprimere ogni residua speranza di conoscere i segreti e le terribili verità che si celano dietro le stragi politico – mafiose degli anni 1992 e del 1993 eseguite non solo per interessi interni alle mafie, ma anche per interessi di qualificati soggetti esterni al fine di realizzare la destabilizzazione politica del paese e pilotare la transizione verso un nuovo ordine politico con un uso sapiente del linguaggio delle bombe.
Segreti di cui sono ferrei e impenetrabili custodi una decina di boss mafiosi stragisti condannati all’ergastolo, ad alcuni dei quali è stato già revocato il 41 bis, i quali si sono sempre rifiutati di collaborare nutrendo l’incrollabile certezza che prima o poi in cambio del loro silenzio sarebbe stato loro concesso di uscire dal carcere senza collaborare.
Non basta. La legge che vi accingete ad approvare fa male al paese anche perché segna il ritorno di una concezione classista, castale del sistema penale.
Andando molto oltre il perimetro delle decisioni della Corte Costituzionale, avete soppresso il regime ostativo previsto per alcuni tra i più gravi reati contro la pubblica amministrazione. Una scelta esclusivamente politica che non ha alcun fondamento giuridico.
Non la motivazione di riservare il regime ostativo solo ai reati associativi, escludendo i reati monosoggettivi perché avete lasciato il regime ostativo per altri reati monosoggettivi contemplati nei medesimo comma nel quale erano previsti i reati contro la P.A. e, per di più, avete escluso dal novero dei reati ostativi anche l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di gravi reati contro la pubblica amministrazione.
Non la motivazione che questi specifici reati contro la P.A. non possono essere equiparati sul piano criminologico ad altri reati più gravi rimasti invece sotto il regime ostativo.
Avete escluso infatti dal regime ostativo reati come la corruzione in atti giudiziari per il quale è prevista la pena della reclusione da otto a venti anni ed avete mantenuto il regime ostativo per reati puniti con pene molto inferiori come, ad esempio, la partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri punita con la pena da uno a sei anni.
L’eliminazione dei più gravi reati di corruzione dal novero dal novero dei reati ostativi è solo il preludio di una stagione di restyling del sistema penale di stampo classista che da tempo viene annunciato e che riceve il plauso di tutti i palazzi del potere e dei media padronali.
Da una parte l’ulteriore depenalizzazione del reato di abuso di ufficio, già sapientemente lobotomizzato in passato al punto tale da abbattere il numero delle condanne a cifre statisticamente irrisorie, l’annunciato ridimensionamento del reato di traffico di influenze illecite, la demonizzazione ed il taglio delle intercettazioni anche per reati di mafia e corruzione, dall’altro l’introduzione con questa legge di un nuovo reato che criminalizza coloro che organizzano raduni musicali non autorizzati con pene spropositate da tre a sei anni che rendono obbligatorio l’arresto in flagranza e autorizzano le intercettazioni.
Si rivela così come dietro la maschera di un garantismo di facciata esibito ad ogni piè sospinto come alibi per le riforme di questa maggioranza, si celi il vero volto classista delle scelte della vostra politica criminale: pugno di ferro e ferocia giustizialista per reati della gente comune, guanti di velluto e lassismo per i reati dei colletti bianchi che popolano i piani alti della piramide sociale”.